lunedì 10 marzo 2014

Una amicizia

Sonnecchiavo pigramente sul divano quando sentii, come ogni pomeriggio intorno alle cinque, i passi pesanti che salivano le scale del condominio; mi stiracchiai un poco e andai ad aspettare davanti alla porta che questa si aprisse, ero solito fare gli onori di casa, dopotutto ero io il padrone.
Un uomo barbuto avvolto in un impermeabile grondante di pioggia entrò in appartamento, si muoveva goffamente come tutti gli altri del resto, e non mancò di schizzare acqua qua e là  mentre si spogliava. Scartai di lato per evitare di essere investito da una nuova sventagliata d'acqua gelida: quell'uomo mi dava un'enorme fastidio quando si muoveva così frenetico e con così poca coordinazione di gambe, braccia e tutto il resto, comunque mi voleva bene e attesi che mi degnasse di attenzione. Questo non mancava mai di farlo.
Mi guardò dall'alto al basso - era molto più alto di me - quindi si piegò sulle ginocchia e allungò le manone che erano sempre stranamente morbide e cominciò a darmi dei pizzicotti. Quando lo guardavo da vicino potevo riconoscere ogni volta che aveva dei formidabili baffi, stavo ad osservarlo in silenzio per lungo tempo e lui pure faceva lo stesso, non ci dicevamo granché ma il nostro era un rapporto profondo.
Io tolleravo i suoi modi bruschi e goffi lui tollerava la mia inguaribile pigrizia oltre che quella mia cattiva abitudine di andare a piluccare dal suo piatto quando avesse finito di mangiare, ma ci rispettavamo.
Quel pomeriggio lesse, come spesso faceva, un lungo trattato su Hegel e io lo stavo a sentire attento; a forza di sentir parlare di quell'Hegel avrei potuto tenere seminari e parlare di lui e del suo pensiero per ore ma non me ne importava poi molto, era una cosa che assorbivo passivamente. Lui leggeva sempre ad alta voce, credo per rendermi partecipe dei suoi interessi e per non isolarmi, e comunque era piacevole starlo ad ascoltare per via della sua voce profonda e bassa. A me danno fastidio i suoni acuti, preferisco i toni grevi.
Comunque quella sera, come ogni sera, mise su' un disco classico che gli piaceva tanto, un concerto per pianoforte (credo fosse Chopin) e si sdraiò a letto con l'aria d'essere sfinito, io mi infilai come ero solito fare sotto le coperte accoccolandomi sotto il suo braccio sinistro. 
Lui mi carezzava dietro le orecchie e ci addormentammo al suono del concerto di Chopin e del mio ron ron.

Marcello D'Onofrio





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